Di zombie, coronavirus e content (4+5 leggerezze da non commettere)

Lavorativamente parlando, la scorsa settimana è stata piuttosto intensa.

Tutto il mese è stato piuttosto intenso.

Quando i periodi lavorativi sono così fitti, alcune attività del quotidiano scivolano sullo sfondo. Tipo aggiornarsi, approfondire nuovi meme, seguire l’attualità. Nello stesso tempo devo ricorrere a dei prodotti culturali leggeri per svuotare la testa ad intervalli regolari.

Leggeri, se sei veneto come me, lo leggi sboldri.

Forse i mentori del mindset non sarebbero d’accordo, ma-

Zombie e attualità

La scorsa settimana ho usato a questo scopo i film di Resident Evil. Tutta la serie (sei film) in lingua originale. Un po’ sottofondo, un po’ guardicchiati, un po’ seguiti.

Per chi non li conoscesse – né le pellicole né il videogioco (il primo episodio è comunque culto) – la sinossi è presto fatta: Milla Jovovich, epidemia di zombie, deformazioni genetiche, muoiono tutti.

MIlla Jovovich in Resident Evil

Continua a leggere per scoprire quanto bene so scegliere i film da guardare.

Una delle prime cose che faccio la mattina è scorrere i titoli di una newsletter che mi snocciola un po’ di politica mondiale, un po’ di attualità, del tech e qualche curiosità tra lo scientifico e il sociale.

Mentre mi infilavo sempre più nell’atmosfera apocalittica, nel disgusto della mutazione e in trame sgangherate, notavo senza notare, nei titoli della newsletter, questa progressione:

  • Domenica, preoccupazione per il diffondersi del coronavirus […]
  • Lunedì, venti casi di coronavirus cinese mentre la diffusione […]
  • Martedì, 9 morti accertati per coronavirus, primo caso fuori da […]

Poi ho realizzato la consonanza notevole di questi content con quelli che stavo consumando avidamente.

Bio hazard

Tutti pronti?

Ti diranno che il content is king

E avranno ragione.

Ma prima ancora che lo sia, c’è che devi avere ben chiare le persone alle quali lo rivolgi, il tuo content: cioè le tue reader personas.

Ora.

Mi rendo conto che non è sempre possibile avere una disponibilità di mezzi di comunicazione tale da fare scattare un’epidemia planetaria mentre guardi un film sul contagio degli zombie. Lo accetto (io stesso lavoro soprattutto con piccoli brand).

Si può e si deve tuttavia metterci la testa, evitando prima di tutto di fare errori e leggerezze – che invariabilmente si tramutano in spreco di tempo e possibilità (cioè di denaro), ma sagomando contenuti mirati e ficcanti.

Content is king su una insegna al neon

Vi anticipo uno dei temi clue dell’articolo: la ficcanza del content

E duro campo di battaglia è la mailing list (un esempio dalle trincee)

La mia ex commercialista: giovane, appassionata del [non farò nomi] guru dei venditori che vincono, e in quanto tale accecata nel buon senso dalle promesse di lead generation e follow up da non riuscire a starci dietro.

Mentre il nostro rapporto professionale si guasta irrimediabilmente per mancanza di empatia, mi arriva la prima di una sequenza di mail, recante un CONTENUTO DI VALORE. Tutto per me, tutto per far crescere il mio business.

E’ un prontuario su come si detraggono le spese carburante quando sei partita iva.

In quanto mia commercialista, la mia commercialista (mi dico) dovrebbe essere la prima a sapere che in quel momento non ho un’auto intestata, e che in quanto regime forfetario non potrei comunque detrarre alcunché: schede carburante comprese.

Mi arriva anche la successiva mail della sequenza, che mi chiede se il primo contenuto mi è stato utile, e se voglio dire la mia a riguardo.

Alla fine di una telefonata dai toni (miei) polemici, mi viene chiesta conferma della ricezione del contenuto di valore.

Ex commercialista.

Picard facepalm meme

L’internet sa, e provvede.

3+5 leggerezze che sarebbe meglio non compiere con il tuo content marketing

Non li chiamo errori, perché per carità: non muore nessuno.

Ma cascandoci ti dai la zappa sui piedi: la testa – tua, o del professionista della comunicazione al quale ti affidi – ci sono, mentre gli strumenti digitali ti permettono di fare un sacco di magie a costo quasi zero, in tempi sostenibili, e senza dover interrompere la tua strategia di content marketing.

E allora, perché in molti le commettono?

1. Perché trascurano quello che le reader persona vogliono

E’ ancora più facile se le tue reader persona sono già tue clienti. In quel caso, non dovresti avere difficoltà a capirlo.

Vogliono informazioni? Vogliono problem solving? Vogliono spunti di approfondimento (o approfondimenti tout court)? Aggiornamenti? Anedottistica? Emozioni? Entertainment?

Tutti questi obiettivi possono essere redatti come contenuti di valore (un po’ di norme arrivano fra poco, nel famigerato +5 del titolo).

Do not want meme

Chiaro.

Se i tuoi iscritti non sono già tuoi clienti, e quindi non ne conosci (apparentemente) inclinazioni e attitudini, non è un problema. Perché mentre raccoglievi indirizzi hai segmentato gli iscritti alla tua  mailing list.

Giusto?

L’hai fatto?

2. Perché si fanno prendere dalla pigrizia o dalla sciatteria, e non segmentano

La segmentazione va fatta ogni volta che puoi. Si fa apponendo dei tag all’indirizzo di mail appena raccolto, o ogni volta che questo (cioè, l’utente che ci sta dietro) compie un’azione significativa nei nostri confronti.

Compila la form e si iscrive dopo aver risposto a una inserzione? Dagli il tag “Ad”.

Scarica il lead magnet sul Problema numero 1? Associagli il tag “Scaricato_1”.

Scarica la checklist su come non incappare nel Problema numero 2? Tag “Scaricato_2”.

Compra un tuo servizio? Tag “Cliente”, e passa la paura.

Questa cosa va fatta. Sempre. Tanto più che ci pensano le app ad apporre i tag giusti: basta dirglielo.

Inoltre, aver fatto un buon lavoro sulle reader persona ti permette di avere già un piede nella porta delle Facebook Ads fatte bene.

Etichette e cassettini

L’algoritmo del software di mailing dopo che ha segmentato i tuoi indirizzi.

3. Perché scrivono quello che sarebbe meglio non scrivere: il quintetto dei contenuti di valore non di valore

Ultimamente c’è un accento fortissimo sulla produzione di contenuti ad ogni costo.

Piani editoriali super saturi, i tradizionali tre post al giorno su Instagram, l’iperpresente Gary Vaynerchuk che consiglia di produrre non mi ricordo quanti contenuti al giorno (100? 1000?). E ho letto l’offerta di una freelancer Pinterest specialist di un pacchetto da 200 pin al giorno.

Ci vuole tuttavia una certa ponderazione, perché è meglio che i contenuti non siano…

1. Fuori tema

Per il discorso di cui all’esempio. Non ho la macchina, cosa me ne faccio delle info per scaricare le spese carburante?

Da qui l’importanza di conoscere le reader persona, e di averle segmentate a dovere. E magari di averle studiate un poco.

Oh, poi dei contenuti generali possono anche starci, di tanto in tanto.

2. Inutili

Una variante della categoria di cui sopra. Ci sono dei contenuti che proprio… meh. “Basta” chiedersi sempre sempre sempre se il contenuto interessa, e non tentare di spingerlo a forza di fronte all’attenzione del lettore.

Parlando di comunicazione, Mario Brega ci sta sempre.

Mario Brega e comunicazione, binomio perfetto.

3. Frettolosi

Quello che noto, sempre più spesso, è che c’è una specie di foia nel dover pubblicare. Come se non ci fosse tempo per una rilettura, per sistemare quel dettaglio, per rifarla.

Proiettandosi sempre più dentro una corsa all’iperpresenza, ci si sbrodola addosso di refusi.

In genere, poi, gli errori più marchiani vengono fatti in apertura: nel titolo, o nel primo paragrafo. Che sono le uniche cose che di solito dovresti controllare – perché le uniche che il pubblico più svogliato legge.

Per me, imperdonabile.

Questo è il mio eroe. Non solo ha talmente bisogno di esserci da pubblicare un articolo sull’Australia on the road mentre il continente va a fuoco, ma riesce a cannare la prima riga del post in maniera catastrofica. Jackpot.

4. Generici e/o ripetitivi

La mia personal favorite dei contenuti di valore non di valore.

Il sempre quello. La zuppa riscaldata per l’ennesima volta. Il detto e ridetto. L’ovvio.

Ci sono degli ambiti nei quali la ripetizione delle banalità schematiche raggiunge apici parossistici, che tolgono il fiato.

Ora, non si fanno esempi dal mondo del marketing e della comunicazione perché le persone si offendono.

Ma apri Instagram, e guarda quanti post elencano (ad esempio) i migliori esercizi per petto/spalle/braccia, o come cambia la dieta quando devi fare massa vs dimagrire – e vedi quanti post, già dopo il secondo, ti danno effettivamente informazioni di un qualche valore.

Aggravante del contenuto generico/ripetitivo, il dirlo con l’entusiasmo di un navigatore del settecento che scopre le Isole Vergini (salvo poi essere mangiato lesso dai cannibali, e se crediamo nelle metafore, qualcosa vorrà pur dire).

la passione ci ha portati qua

Questa è la parola che odio di più quando lavoro su testi per clienti pro: “la passione per il nostro lavoro”. Ma sul serio, ancora?

5. Super rumorosi

Lo so cosa ti dicono i manuali del migliore copywriter, del marketer persuasivo, del venditore vincente, eccetera.

Ci vogliono i numeri nel titolo.

Ci vogliono le parole calde: errore, cose da evitare, non fare assolutamente, non farlo anche tu.

Devi toccare i pain point del lettore.

Devi bisbigliare un segreto che poi, ad attenzione ricevuta, urlerai con un megafono ad alzo zero.

(I pain point di prima? Meglio se ci infili un dito dentro con decisione, già che ci sei).

E’ vero, le statistiche dicono tutto quello che volete a riguardo, e io non sono nessuno per contraddire i numeri. Ma se tutto è urlato, niente si staglia per farsi notare.

Tanto più che non tutto ha bisogno dei toni alti.

E prima o poi lo trovi, quello che ti dice Sì ok, ma stai calmo.

4. Bombardare gli iscritti di contenuti

Ultimo tip, promesso.

Sempre nella settimana intensa, mi sono trovato a scorrere le mille mail di marketing digitale che ricevo al giorno, per segnarmi cose che avrei fatto bene a leggere al primo momento libero. Ho notato che un Marketing Institute anche piuttosto blasonato mi manda due mail al giorno, in una delle quali c’è sempre una selezione di tre articoli. Fatta un po’ di cernita, mi sono ritrovato con 12 articoli da leggere: per una sola settimana di ritardo.

Troppo.

Centellina la distribuzione dei tuoi contenuti di valore. Non vale la pena di saturare l’attenzione del tuo destinatario: parte dei contenuti andranno comunque perduti, e non darai tempo al lettore di pensarti di quel pensiero che dice quasi quasi lo contatto per quel lavoro.

Nota bene: sei esentato da quest’ultimo punto solo nel caso tu stia facendo un lancio.

(una di quelle cose di funnel marketing all’americana)

Quindi contenuti ficcanti prima di tutto

La faccio breve (adesso) e chiudo: tieniti su un buon profilo medio e coerente, cura la qualità, studia il tuo pubblico, tieni a freno l’ego, e scivolerai dritto al cuore del tuo cliente, come in questa immagine qua sotto.

Il meccanismo è chiaro, spiegato qui (del content, dico).

Se serve una mano, scrivimi.

©photo: austinchan@unsplash.com, goian@usplash.com, varie dal web
By | 2020-01-30T13:48:13+00:00 gennaio 30th, 2020|Content Marketing|