Immagina la scena. È una lunga tavolata nel cuore di una sera di collina; una decina di ospiti sono seduti tra le candele; una brezza proviene leggera attraverso il bosco; i piatti sono stati ripuliti con particolare cura, qualche bottiglia deve ancora cadere. Non conosco nessuno se non la coppia dei padroni di casa e la mia compagna, che siede al mio fianco. Ad un certo punto, qualcuno chiede che lavoro faccio; “sono un ghostwriter”, rispondo.
L’interesse è provocato, è inevitabile: le dinamiche del lavoro del ghostwriter sono poco conosciute; un alone di mistero circonda non solo la figura professionale, ma anche le relazioni che questa intrattiene con i clienti – gli “autori”; e c’è sempre chi tira fuori la triste fine di Ewan McGregor nel film di Roman Polanski.
Ecco le risposte alle più tipiche domande che mi vengono poste in queste occasioni.
Non ti dà fastidio che il libro che hai scritto non porterà la tua firma?
A questa domanda rispondo sempre senza tentennamenti: no. Il motivo è dei più semplici: le storie che mi viene chiesto di raccontare non sono le mie, sono quelle dei miei clienti. Io ho le mie, di storie, e le racconto nei miei libri.
Tanto più che non è detto che le storie altrui mi piacciano. La domanda successiva quindi è sempre la stessa.
Come fai a scrivere di qualcosa che non ti interessa?
Il ghostwriting è un lavoro, ci sono dei momenti di assoluta magia, di consonanza tra arte e tecnica e scopo, e dei momenti di innegabile e torturante routine.
Alle volte è una magia carica di significato; alle volte semplicemente scrivi, mosso dalla caffeina e dal contatore delle parole.
A me però quello che davvero interessa è l’atto della scrittura – il mettere le parole in fila, la ricerca del tono, del flusso della storia, delle frasi. Che questa mia “arte” sia applicata ad un’adrenalinica storia d’azione, a una pensosa autobiografia o a un saggio sulla storia degli aspirapolvere, poco importa – entro certo limiti.
Ma scrivi proprio di tutto?
Quasi. E sono abituato ad essere nello stesso tempo un barbuto scrittore accademico e una scrittrice di chick-lit.
Il ghostwriting è l’applicazione delle scrittura al compito che ti viene richiesto; questo richiede quindi un duplice livello di studio – quello degli elementi specifici della storia e quello delle regole e delle convenzioni di un certo genere.
Detto questo, nessuno ti obbliga a scrivere di tutto. Ci sono ghostwriter richiesti perché esperti un genere, e ghostwriter apprezzati per altre qualità (non necessariamente legate alle scrittura), come la capacità di immedesimazione, l’empatia con il cliente o la velocità di esecuzione.
Personalmente dichiaro di scrivere di tutto, ma ho anche dei no-no (finanza e politica, fate e angeli), dei temi che valuto di volta in volta (gialli e thriller, che in genere rifiuto al netto che non mi interessi l’ambientazione o una particolare declinazione della storia); e degli evidenti favoriti (autobiografie romanzate).
Non vorresti ricevere riconoscimento per le frasi che scrivi?
Assolutamente no. La scrittura è inesauribile, le combinazioni delle frasi sono (grazie a dio) infinite.
Il ghostwriting è ricerca del tono e delle frasi giuste per quella storia, e la penna del professionista è al servizio di quelli.
Quando invece torno ad essere scrittore e a lavorare sulle mie storie, allora sì: sono geloso di ogni mia invenzione, di ogni mia frase.
E se il libro fa flop?
Mi dispiace, ma non dipende da me. Il successo editoriale non è necessariamente (non è più?) legato alla qualità del libro. Azioni di marketing, contingenze del mercato, improvvise mode, #booktokers e altri fenomeni del web, la storia giusta al momento giusto, l’allineamento degli astri: i fattori che lo decretano sono infiniti, e imperscrutabile resta il favore del lettore. E anche se ognuna delle caselle di cui sopra è spuntata, il successo di un libro chiede all’autore – quello che firma il libro – un investimento di energie enorme.
(Per ogni evenienza, questo concetto è un punto ben chiaro del contratto che mi lega al cliente.)
Mi dici un libro famoso che hai scritto?
Ahah, ottimo tentativo. Ma non crollerò neanche dopo il quarto negroni.
Prossima domanda?
(In ogni caso, la clausola di riservatezza presente in ogni contratto mi impedisce di rispondere.)
Non credi che il ghostwriting sia una truffa?
Non lo credo, ma mi è stato chiesto alla fine di una presentazione del mio primo libro, quando si è passati a parlare del mio lavoro.
Se inviti delle persone in casa e ricevi dei complimenti sul tuo bagno, nessuno si aspetta che tu ti sia occupato di tubature e piastrelle.